
Vergine giurata, Feltrinelli, Milano, 2007, pp. 204.
Hana abbandona gli studi universitari per tornare a vivere sulle montagne del Nord dell'Albania, nella casa dello zio che l'ha cresciuta dopo la morte dei genitori e che adesso è vedovo e malato. Un atto d'amore e di gratitudine che assume i tratti di uno spaventoso olocausto di sé quando Hana, che si rifiuta di accettare il matrimonio combinato pensa che l'unico modo per risolvere i suoi problemi sia diventare una Vergine giurata: una di quelle donne, cioè – la cui esistenza è prevista dal Kanun albanese –, che a un certo punto della propria vita decidono di farsi uomini e di rinnegare la propria femminilità…
Elvira Dones, albanese di origine, è scrittrice, sceneggiatrice e autrice di documentari televisivi. Divide la sua attività tra la Svizzera e gli Stati Uniti, dove attualmente risiede. In italiano ha pubblicato: Senza bagagli (Besa, 1997), Sole bruciato (Feltrinelli, 2001), Bianco giorno offeso (Interlinea, 2004), I mari ovunque (Interlinea, 2007).
dal sito http://www.culturactif.ch/livredumois/janv08dones.htm
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Le Vergini Giurate
23.05.2007
scrive Marjola Rukaj
Un antico fenomeno sociale disciplinato dal diritto tradizionale e dal Kanun. Il diritto della donna di proclamarsi uomo, di comportarsi come uomo e di acquisire tutti i diritti che il Kanun riserva esclusivamente agli uomini
In Kosovo e nelle zone montuose dell’Albania settentrionale si possono tuttora trovare dei residui di antichi fenomeni sociali che tendono progressivamente a estinguersi. Da qualche tempo si è incominciato a parlare del fenomeno della conversione delle donne in uomini, una metamorfosi sociale mossa da ragioni tutt’altro che psico-sessuali come potrebbe venir facile interpretare oggi una definizione del genere.
Si tratta in realtà di un fenomeno antico disciplinato dal diritto tradizionale e soprattutto dal maggiore dei codici giunti fino ad oggi, dal Kanun di Lekë Dukagjini. Si riconosce in tal senso il diritto alla donna di proclamarsi uomo, di comportarsi come uomo e di acquisire tutti i diritti che il Kanun riserva esclusivamente agli uomini. Dell’esistenza di questo fenomeno si hanno testimonianze da almeno 200 anni, ma sembra che la sua diffusione sia stata sempre esigua e solo uno strumento estremo per evitare penalizzazioni condizionate dalle regole sociali e dallo stesso Kanun.
Oggi si tratta di casi isolati, si contano una decina di donne in tutto, tra il Kosovo e le aree confinanti in Albania, mentre prima il fenomeno era conosciuto anche in Serbia, in Montenegro e in Bosnia. In Albania il fenomeno è stato a lungo solo un argomento in mano a un’élite ristretta di antropologi ed etnologi mentre la maggior parte della popolazione, tranne gli originari del profondo nord albanese o del Kosovo, ne ignoravano del tutto o quasi l’esistenza.
E’ un fatto dovuto ovviamente a una notevole mancanza di interesse verso la propria cultura tradizionale in nome della tendenza xenofila di tutti gli albanesi nel post-comunismo e anche del rifiuto dell’idea comunista che puntava all’esaltazione e alla mitizzazione della propria cultura in quanto qualcosa di particolare, di inconfondibile con le nazioni confinanti, elemento poi che divenne fondamentale per l’identità nazionale e di conseguenza anche sinonimo dell’isolamento pluri-decennale. Il fenomeno è stato comunque poco conosciuto anche durante il comunismo nonostante l’ideologia nazional-comunista abbia costruito il mito del Malësor (montanaro), guerriero coraggioso – simbolo dell’indipendenza secolare dagli ottomani. Si cercava nello stesso tempo di disfare il loro mondo tradizionale che mal si adattava al controllo da parte del regime comunista.
Si è cominciato a parlare delle donne fattesi uomini, quando la scrittrice e giornalista albanese Elvira Dones, realizzò un documentario con protagoniste 6 donne anziane che vivono come uomini. La scrittrice albanese aveva scoperto l’esistenza di queste donne per caso in una foto di una famiglia kosovara dove spiccava un uomo dal volto estremamente femminile. Fu così che Dones avviò le sue ricerche scoprendo storie che la colpirono al punto da scrivere il romanzo “Hana” (Luna in albanese gheg) la cui protagonista è una donna fattasi uomo che emigra negli Stati Uniti per recuperare la sua femminilità. Qualche anno fa l’antropologa Antonia Young aveva trattato ampiamente il fenomeno nel suo “Women who become men”. Ma nei primi del ‘900 di questo aveva scritto anche Edith Durham, la viaggiatrice inglese che innamorata degli albanesi più che di ogni altro popolo balcanico, non mancò di ammirarlo come un’espressione affascinante di virtù.
La conversione assume una dimensione sociale che fa acquisire alla donna uno status pari a quello dell’uomo. Questo viene espressamente detto nella raccolta degli usi tradizionali scritti da Shtjefën Gjeçovi dove la donna è trattata in maniera particolarmente inferiore rispetto all’uomo. Com’è noto la donna aveva minime capacità decisionali, non aveva diritti di proprietà, e non veniva inclusa nelle faide della vendetta. Nonostante non manchi chi considera le interpretazioni riguardo la posizione della donna nel Kanun come imbevute di qualunquismo, non si può negare che la vita della donna fosse fortemente condizionata dalla figura maschile.
Si presume che la donna debba essere vergine, e di conseguenza la conversione avveniva al sopraggiungere della maturità sessuale, e si esige la totale astensione dalla vita sessuale, motivo per cui queste donne vengono anche conosciute come le Vergini Giurate (Virgjinat e bitume). Nel Kanun si riferisce a loro con la definizione le donne vestite da uomini, poiché l’abbigliamento maschile veniva visto come un elemento che legittimava il giuramento della conversione fatto davanti a 12 uomini del villaggio. Dopo il giuramento Virgjina (la vergine) assumeva un comportamento maschile, prendeva un nome da uomo, si armava, e poteva fumare, bere e mangiare con gli uomini nella stanza dove alle donne non era permesso restare. Inoltre acquisiva il diritto di vendere, comprare e gestire proprietà e poteva anche partecipare in guerra e nella vendetta tra i clan, di pari diritti agli altri uomini.
Sull’origine di questo fenomeno si continua tuttora a discutere. Di recente alcuni l’hanno sottoposto a un’ottica molto moderna vedendo in questo fenomeno un modo di manifestare l’omosessualità, fatto che l’antropologa Antonia Young ha completamente rigettato dato che in una società estremamente maschilista come quella voluta dal Kanun l’omosessualità era un tabù indiscutibile, mentre l’omosessualità femminile non risulta sia mai stata presa in considerazione. Tra l’altro vi è da considerare che la sessualità di queste donne era del tutto repressa e non faceva in alcun modo parte del loro nuovo status.
Johann G. Von Hahn, un diplomatico austriaco che viaggiò a lungo nel nord albanese, scriveva nel 1863 che probabilmente questa era la versione albanese della devozione cristiana, visto che durante i suoi numerosi viaggi nel nord dell’Albania il console austriaco aveva notato la mancanza di conventi cattolici. Secondo lui il concetto cattolico era stato poi adattato al carattere combattivo del popolo albanese. Ma il fenomeno delle vergini giurate conta sia donne cattoliche sia musulmane. Studiosi come Milenko Filipovic, Andromaqi Gjergi, e Karl Kaser notano una reminiscenza del fenomeno delle amazzoni. L’antropologo albanese Moikom Zeqo evidenzia invece una reminiscenza di un fenomeno che risale alla crisi del matriarcato da aggiungere a una serie di altri fenomeni bizzarri come il Kuvada (il rito secondo cui l’uomo imita la moglie quando ha appena partorito il loro figlio, fingendosi donna, accogliendo gli ospiti sdraiato nel letto vestito da donna, al posto della neo-mamma) che sono sopravvissuti da culture addirittura preindoeuropee nelle zone montuose che grazie all’isolamento offrono ottime possibilità di conservazione di riti e usi remoti.
Ma la conversione delle donne in uomini aveva soprattutto una funzione socio-economica. Si usava infatti far convertire una figlia se non si avevano figli maschi per poter far ereditare le proprietà della famiglia, mentre in linea femminile (linja e tamblit) questo non era possibile. Era anche un ottimo mezzo per evitare lo scaturire di nuove vendette, se una ragazza rifiutava il fidanzamento che le era stato prescelto, l’orgoglio ferito dell’uomo rifiutato faceva scaturire la vendetta tra i due clan. Se invece la donna giurava astensione dalla vita sessuale e rinunciava alla propria femminilità, l’obbligo di vendetta si annullava. Ma nella stampa albanese si è parlato anche di donne che hanno scelto volontariamente di diventare uomini, per essere più libere, per un’interiorizzazione dei valori maschili che sono stati tradizionalmente professati nella società albanese, dove chiamare una donna “burrneshë” (in albanese da burrë-uomo, – neshë un suffisso femminilizzante) è espressione di grande stima, qualcosa di quasi epico. Elvira Dones ha incontrato donne che non si erano pentite di aver fatto questa scelta, ma anche qualcun’altra che avrebbe voluto avere figli.
Nel suo libro “Women who become men”, Antonia Young aveva valutato questo fenomeno come quasi estinto però aveva anche previsto un suo risveglio in Kosovo, come conseguenza delle crisi degli anni ’90. Ad ogni modo i forti cambiamenti sociali che hanno interessato le zone più remote dell’Albania e del Kosovo, e soprattutto le forti tendenze migratorie verso le grandi città pare che facciano cessare i motivi che rendevano utile la conversione in uomini. Tutte le Virgjinat sono ora delle donne anziane, che sono parte di un antico fenomeno eccezionale.
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"Vergini giurate", donne che vivono da uomini
Un'antica tradizione albanese permette alle donne di vivere da uomini e di godere degli stessi diritti maschili. Ma il pegno da pagare è una rinuncia eterna all'amore e al sesso
a cura di Lucia D'Addezio
19 settembre 2007
Le chiamano “Vergini giurate”. Sono donne che scelgono di “diventare uomini” per ottenere libertà e maggiori diritti, rinunciando all’amore sia fisico che platonico. Questa antichissima tradizione, che interessava e in parte interessa ancora l’Albania settentrionale ed altri Paesi ad essa confinanti, è riconosciuta dalla legge.
Diritti delle donne, società patriarcali, presunta superiorità dell’uomo sul sesso debole.
Tutte queste realtà si intersecano nel fenomeno delle “Vergini giurate”. Tutto, tranne ragioni legate alla sessualità psico-fisica, quelle ragioni cioè che, in questo periodo di grande dibattito e di grandi polemiche sui Dico, verrebbero per prime alla mente.
Il passaggio da una vita da donna ad un’esistenza da uomo, infatti, non è di tipo chirurgico. Chi sceglie di “diventare uomo” lo fa attraverso un giuramento che, per legge, garantisce l’ottenimento di tutti i diritti riconosciuti al sesso maschile ma non a quello femminile. Il fenomeno è disciplinato anche dal codice conosciuto come "Kanun di Lekë Dukagjini", uno dei codici legislativi più importanti dell’antichità.
La pratica sopravvive da centinaia di anni, anche se i casi di “Vergini giurate” moderne sono pochi (30-40 al massimo) e limitati ad Albania, Kosovo, Serbia e Montenegro.
La morte del padre o del marito, l’assenza di un capofamiglia di sesso maschile, ristrettezze economiche, queste le ragioni principali che in passato potevano portare una donna a prendere una decisione tanto drastica. Ma la “conversione” da donna a uomo poteva avvenire anche nel caso della mancanza di eredi maschi, per permettere ad una figlia di accedere all’eredità. Poteva accadere che una ragazza non volesse accettare lo sposo che era stata scelto per lei.
Accettare una vita da uomo, a quel punto, poteva essere l’unico modo di evitare guerre familiari, annullando di fatto l’obbligo alla vendetta. Non sono rare neanche “conversioni” scaturite dal desiderio di indipendenza e di libertà.
Nelle zone montuose dell’Albania settentrionale tuttora alle donne sono riconosciuti pochissimi diritti, nonostante i secoli di progresso che separano il Paese dalle condizioni sociali che, nel XV secolo, portarono alla nascita delle “Vergini giurate”.
Ancora oggi alle donne è vietato il voto nelle elezioni locali, solo gli uomini possono avere possedimenti terrieri o accedere a determinate professioni, l’indipendenza economica e sociale dal capofamiglia è un miraggio se non un’utopia.
Da qui la scelta della “conversione”: in seguito al giuramento, che di regola viene fatto di fronte agli anziani del villaggio, la “Vergine giurata” prende un nome maschile, si taglia i capelli, indossa abiti maschili e sceglie un’occupazione generalmente praticata dagli uomini, come il pastore o il guidatore di camion. Come tutti gli uomini, da qui in avanti può bere e fumare, partecipare alla guerra, usare armi, possedere terreni e proprietà, mangiare insieme agli uomini in stanze dove le donne non sono ammesse.
Dal giuramento in poi viene trattata come un uomo a tutti gli effetti, anche da coloro che sono a conoscenza della sua reale essenza biologica di donna.
Il pegno da pagare è la rinuncia all’amore e al sesso.
Una giornalista, scrittrice e regista di origini albanesi, Elvira Dones, affascinata e incuriosita dal fenomeno ha girato un documentario sulle “Vergini giurate” cercando di comprendere quali ragioni possano spingere una donna di oggi a scegliere una vita da uomo.
Una delle “Vergini” intervistate, Shkurtan Hasanpapaj, ha così spiegato la sua decisione: “sposandomi mi sarei sentita oppressa più che imprigionata. Anche quando nel matrimonio c’è l’amore e l’armonia, solo gli uomini hanno il potere decisionale. Io voglio una completa parità o nulla.”
Un’altra di queste donne, Sanie Vatoci, 50 anni, racconta di come sia stata costretta dalle circostanze a fare il “giuramento” quando era ancora un’adolescente.
Il padre morì così lei prese il posto del capofamiglia defunto. Ora però rimpiange quella femminilità da lei rinnegata in passato.
Oggi vive sola sostentandosi con il suo lavoro di camionista. “Quando guardo le altre coppie che leggono libri o guardano film - dice Sanie Vatoci – mi chiedo perché io non ho un compagno e perché mi comporto come un uomo. Forse c’era un uomo per me là fuori, da qualche parte!”
Queste donne ottenendo la libertà da uomini hanno dovuto accettare tutte le restrizioni che questo ruolo comporta.
Il giuramento delle “Vergini” è senza ritorno. Infrangendolo, la pena potrebbe essere addirittura la morte.
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